dimecres, de gener 20, 2010
T’esperem!
dimecres, de maig 28, 2008
Un’insurrezione quieta e urbana
di Rotafixa* (da Alias-il Manifesto)
Le città saranno salvate da ciclisti, giardinieri urbani, hackers e biofuelers, tra le poche categorie oggi a saper inventare un nuovo futuro. Tesi stravagante, può darsi. Ma esposta seriamente e con argomentazioni che non possono essere liquidate con un’alzata di spalle. A sostenerla è Chris Carlsson nel suo libro Nowtopia, uscito ad aprile in Usa e ora in giro per il mondo con l’autore. Carlsson è noto per la sbrigativa e non del tutto esatta - per sua stessa ammissione - definizione di «inventore della Critical Mass», il movimento mondiale di gente in bicicletta che rivendica anche per sé le strade intasate da automobili.
Quando hai scoperto l’importanza del «tempo autorganizzato» per raggiungere scopi radicalmente differenti dal «lavora, compra, paga, crepa»?
Ho aiutato a far partire la rivista Processed World nel 1981, e ci siamo resi conto subito che per molti di noi il «vero lavoro» iniziava una volta finito ciò che ci pagava. La passione e il desiderio di fare lavori come scrittura, organizzazione, teatri di strada, musica, storia, filosofia erano forti e il lavoro pagato non faceva altro che toglierci il tempo per il nostro
lavoro importante. Certo bisognava comunque avere soldi per affitto e cibo, quindi rubavamo tempo e risorse ai lavori pagati per poter svolgere il lavoro che ritenevamo importante. Nowtopia è cresciuta grazie a questi 25 anni d’esperienze
e di sensibilità.
E trovi che stia effettivamente succedendo qualcosa? Intendo qualche cambiamento nella concezione di «impegno».
Il concetto di «esodo» così come descritto da Virno e Hardt/Negri è uno strumento concettuale molto utile per capire cosa sta succedendo. Invece di rimanere in impieghi deludenti, la gente sta cominciando a lasciare il lavoro appena può. Ma non sanno dove andare, quindi invece di tentare di trovare significato e utilità nel lavoro pagato, danno vita a nuovi tipi di iniziative e progetti: molti nell’ultimo decennio, ma anche due o tre generazioni dopo la seconda guerra mondiale la gente si metteva assieme per fare del lavoro visto come espressione della loro completa umanità, per affrontare i veri problemi: quelli ecologici o della vita quotidiana. Ma tutto ciò può solo essere fatto sotto il loro controllo, secondo i loro termini, con persone liberamente scelte e in modi che decidono loro. In altre parole, non come un lavoro.
Nel tuo libro parli spesso dei lavoratori come epicentro e fulcro del cambiamento. Ma in tutto il mondo la «working class» ha paura e si sposta a destra, si chiude. Di che classe parli, quante ce ne sono?
Ho una definizione molto ampia della «working class» che racchiude chiunque lavori per uno stipendio o un salario. La mia discussione sulla classe, che serve in parte per smontare
il mito della «middle class», prova a enfatizzare come il nostro lavoro comune produce il mondo che ci opprime tutti, in vari modi. I flussi e riflussi delle politiche elettorali hanno parecchie spiegazioni. Non mi sorprende che molti impiegati che vedono la loro vita scivolare nella globalizzazione e nella ristrutturazione possano abbracciare programmi di destra che promettano stabilizzazione e protezione delle loro vite. È una menzogna, ma la voglia di sicurezza e tranquillità è molto forte, ed è un aspetto che i radical non sono riusciti a indirizzare bene. In Nowtopia descrivo attività già in corso, che pongono la base sociale e tecnologica per una vita post-capitalistica, molto probabilmente largamente post-petrolio.
Non c’è nessuna certezza che questi sforzi riescano e, anche se diffusi, siano sufficienti a cambiare la vita sul pianeta. Ma sono un punto di partenza molto importante, un luogo dove le persone sono già occupate a riappropriarsi del loro tempo e sapere tecnologico, dirigendo l’apparato della vita moderna verso nuovi obiettivi che siano in linea con la crisi ecologica, con la crisi di significato, con il crollo delle classi e delle comunità, e con la voglia di un nuovo tipo di vita sociale: animati da uno scopo condiviso, basato su un nuovo popolo con un forte senso di quanto meglio la vita possa essere in confronto ad ora.
Insisto: in 25 anni qualcosa sarà pur successo.
Il più grande cambiamento negli ultimi 25 anni e stato il crollo di qualsiasi componente della sinistra tradizionale e la ristrutturazione del lavoro in modo tale che nessuno possa contare su un impiego che possa durare a lungo. Sono tutti precari ora, non c’è più quella stabilità associata a molti impieghi. Il lavoratore raramente resta nello stesso posto per più di un paio d’anni al massimo. Ne deriva il crollo di qualsiasi senso di storia, la trasmissione di esperienze e di vite si perde, le relazioni sono transitorie e temporanee. Una delle conseguenze più evidenti è ciò che io chiamo «la più grande accelerazione nella storia umana». Nessuno va a vedere l’amico se non ha mandato un paio di mail o di telefonate prima della visita. Nessuno ha più tempo per la spontaneità. A ciò si oppongono le iniziative «nowtopiche» che descrivo: sforzi deliberati per ristabilire comunità attraverso attività pratiche spesso rivolte a necessità di base, quali trasporto, carburante, cibo, comunicazioni.
In queste comunità neonate vediamo l’inizio di una ricomposizione della «working class»
in termini estremamente generici, basato sul vero lavoro che si svolge al di fuori della rapporto salariale.
Passiamo alla bici e al movimento personale in città, «nowtopismo» che tu indichi come uno dei fattori di «rivoluzione urbana». È difficile pensare che davvero il concetto di «esodo» possa attecchire in un paese dalla mentalità devastata come il nostro. In Italia c’ è la più alta concentrazione di automobili del mondo, e la macchina è vista come un membro della famiglia. Le esperienze che descrivi possono essere utili per guarire da questa schiavitù mentale, o ci riuscirà solo la tempesta economica in arrivo?
Non ho mai parlato di un movimento di massa che possa diventare maggioranza. Sto descrivendo tentativi, nella maggior parte di invisibili comunità, di rifiuto pratico della vita in termini capitalistici, che vengono appoggiate da relativamente piccole quantità di persone sul momento.
Ma potrebbe essere un inizio di cambio culturale con la rapida espansione della Critical Mass in giro per il mondo, l’incremento dell’uso della bicicletta nelle zone urbane e l’emergere dei legami fra il «cool» e l’andare in bicicletta. Potrebbe significare che l’ossessione predominante (e pesantemente finanziata) per le macchine troverà la sua sfida nell’alternativa della bicicletta.
Tu citi anche i «biofuelers» come gruppi in grado di creare cambiamento. Ma cresce la consapevolezza che usare l’agricoltura come fonte di carburante può portare a disastri alimentari di portata mondiale.
I «biofuelers» di cui parlo sono attivisti che stanno cercando alternative di piccola scala. Sono estremamente critici sull’invasione aziendale dei «biofuels» e si oppongono all’approccio capitalistico che sta contribuendo alle crisi alimentari, anche se non ne sono la sola causa. Nel mio capitolo sui «biofuels» faccio una distinzione netta fra «biofuels» sostenibili, basati sui rifiuti locali, olio vegetale e provviste locali di rifiuti tossici e la produzione di etanolo e di carburanti provenienti da materie alimentari guidate da grosse
multinazionali come la Archer Daniels Midland o la Chevron.
diumenge, d’agost 05, 2007
carta d’una bicicleta
Estimat cotxe,
Permet-me que avui t’escrigui sobre les coses que fa temps et vull dir. No sé si hauràs notat que amb tu estic molesta, però el cert és que hi ha massa coses que no entenc i cada dia se’m fa més difícil la nostra convivència. Mai he comprès, per exemple, perquè quan vaig pel carrer em pites perquè m’aparti, al·legant que ocupo massa. Jo, per més que em miro, em sembla que estic primeta i que si algú ocupa massa espai com per avançar-me ets precisament tu…. Amb tota aquella carcassa que t’envolta no m’estranya que no puguis passar per enlloc! I a més, tot s’ha de dir, ets ben maldestre… Mai no havia vist ningú tant patoset com tu! Sempre en línia recta, com si no hi haguessin coses per fer en una ciutat…Pregunta-li sinó al vianant, el rei de la ciutat. Fixa’t en ell: ara endavant, ara gira a la dreta a parlar amb un conegut, ara fa una passa endarrera per llegir un cartell, després gir de 180 graus per mirar un aparador…Hi ha tantes coses a fer en una ciutat, tants estímuls als quals respondre, que tu amb la teva aparatositat sembles un elefant entrant a una vitralleria.
Només t’has de veure quan decideixes parar (aparcar, en el teu cas) l’espectacle que has de fer cada vegada: et deixem espais enormes de la ciutat perquè estacionis (ja sigui al carrer o ens grans forats subterranis especialment construïts per a tu), però tot i la grandiositat dels espais a tu et semblen petits i abans d’encabir-t’hi et vas moment com un talòs davant i endarrera fins que quedes ben encaixonat!
Detesto la teva supèrbia quan aparques sobre la vorera, ni que sigui per poca estona. El privilegi d’anar de porta a porta només el té el rei (el vianant) i jo, la reina (et recordo que sóc la reina des que les ciutats es feren massa grans com per anar a tot arreu a peu). Tu no pots anar de porta a porta: tu quan arribes allà on vols has d’anar primer a buscar un aparcament. Apuntar-te al privilegi de vianants i bicicletes resulta no només acaparador, sinó a la vegada usurpador dels nostres espais…Però, mira que bé, gràcies a les voreres i als carrils bici sempre et sembla que hi ha un espai suplementari esperant- te perquè quan vagis a fer un encàrrec hi puguis aparcar just davant!
Però tot això encara seria poc si no ens imposessis les teves regles del joc. Què me’n dius dels carrers de sentit únic? Veritablement els vianants no es plantegen que els carrers tinguin cap sentit. Fixa’t, sinó, en els carrers per a vianants: pots endevinar-hi cap ordre o concert en els seus itineraris? Doncs, de manera similar ens succeeix a les bicicletes. Però tu, amb la teva patoseria i necessitat de moure’t en línia recta, imposes a tots els carrers estrets (i no tan estrets) un únic sentit de circulació, obligant-nos a les bicicletes que juguem el teu joc i enfadant-te si ens veus passant-te pel costat en contra sentit…però en contra de quin sentit? Serà del teu sentit, del sentit que us heu inventat els aparatosos, però no pas en contra del sentit comú de la ciutat! Els sentits de circulació són un joc que resulta absurd a l’espai urbà, on el rei i la reina sempre seguim la lògica del camí més curt.
I el joc dels semàfors??? Aquesta sí que és bona!!! T’imagines una zona per a vianants amb semàfors perquè vianants i ciclistes es paressin tots darrera una línia? A sant de què s’haurien de parar? Els vianants i les bicicletes ens regulem sols i els nostres creuaments succeeixen espontàniament. És a velocitats més grans que cal regular les cruïlles amb stops, cediu el pas i semàfors, derivant-se que córrer comporta haver de parar després i per tant perdre bona part del temps guanyat. O fins m’atreviria a dir que mentre s’està parat davant d’un semàfor en vermell es perd més temps del que s’ha guanyat mentre es corria, cosa que explicaria perquè les bicicletes arribem abans que vosaltres quan ens saltem els semàfors.
Per tant, quin sentit té córrer per dins d’una ciutat? Quin sentit té que portis un motor que et permet anar a 50 km/h (o 150 km/h) però que no t’estalvia temps? Quin sentit té que tothom es pari davant d’uns semàfors posats inicialment perquè tu poguessis córrer per la ciutat, si tu no estalvies temps a ningú i no ets el primer en arribar als llocs? Què hi fem tots plegats plantats davant de les llumetes vermelles?
Ara bé, saps que és el pitjor de tot plegat? És el fet que la ciutat visqui en una bombolla plena de sentiment de perill per risc d’accidents, de soroll, fum i amb manca d’espai per al joc dels infants, i la trobada de joves, vells i qui vulgui. I encara que em diguessis que a vegades sí que estalvies una mica de temps i que qualsevol petit guany de temps ho justifica tot en aquesta societat, aleshores et diria que si tant valores el minuts i els segons computessis també el temps que ens podríem estalviar en una ciutat segura on els infants juguen sols als carrers sense necessitat d’apuntar-los a extraescolars o buscar cangurs (diners que es tradueixen en temps de treball), sense necessitat d’acompanyar-los cada dia a escola, sense necessitat de tanta farmàcia i tant metge per problemes respiratoris.
Amic meu, t’has plantejat mai sortir de la teva carcassa i viure la ciutat des de fora de la teva trinxera? Potser et sorprendria descobrir que tot allò que tu vius com obstacles a tort i a dret, elements mòbils que mai se sap en quina direcció es mouran, són persones que se saluden i que reconeixen en els altres possibles amics o coneguts. Però tu, en els altres, sobretot hi reconeixes molestos obstacles que no et deixen córrer, i en comptes de dedicar-los un “hola” amical, els regales una bafarada de fums i brogit de motor a quatre pams de la cara…Ben maco!
Ja ho veus, amic, no t’entenc ni crec que et pugui entendre mai. No et veig cap atractiu ni avantatge… perquè si després de tot això que t’he dit jo veiés que fossis saludable, font de calma i tranquil·litat, encara et podria entendre. Però, contràriament, sovint et veig enfadat, nerviós, ben agrit i desprenent agressivitat. Quina gràcia o benefici tens, doncs? Quan t’anuncies a la televisió sempre et veig corrent enmig de deserts, mars, muntanyes, en horitzons ben amplis i llunyans… res que destorbi la teva llibertat, que tan pregones sense parar! Però, no has vist que la teva quotidianitat és ben diferent? Envoltat de pisos i cases, per carrers estrets, parat absurdament davant d’una llum vermella o atrapat enmig d’un embús provocat pels teus mateixos semblants… Veritablement, només tens raó de ser en la teva solitud, com als anuncis… perquè si tots els cotxes decidíssiu sortir a la vegada no podríeu ni moure-us de la porta del garatge! Deixa’m que et digui, però, que les bicicletes podem sortir totes juntes a la vegada perquè no embussaríem res. No depenem del que facin les altres per poder circular. No depenem de parar a una gasolinera i pagar per un combustible per poder avançar. No quedem atrapades fàcilment davant d’un petit obstacle perquè el podem esquivar. I avançant endavant, amunt i avall, sentim el cor bategar i el vent passar. No és això més semblant a la llibertat?
Amic meu, sàpigues, però, que tots dos tenim una gran cosa en comú. Saps quina és? Doncs que tots dos creem addicció… Aquell qui ens coneix queda atrapat en el nostre encant i ja no se’n desprèn…perquè tant existeix qui fins el pa va a comprar en cotxe, com qui ho fa en bicicleta… Una vegada se’ns coneix, tothom en queda atrapat! Per tant, no dubtis que jo et demanaré ajut quan estigui malalta, quan hagi de carregar objectes pesats, quan vulgui anar lluny on no hi arriben ni el tren ni l’autobús… Però, per a la resta, què et sembla si tu comences a enganxar-te a mi… Ja ho veuràs, només ho has de provar poques vegades i ja hi estaràs atrapat! Només és qüestió de deixar de banda allò conegut de sempre i provar quelcom nou…
diumenge, de juliol 29, 2007
T’ESPEREM¡
diumenge, d’abril 03, 2005
La propera: October 7, 2005 a les 20 h a la Plaça Universitat.
!T’ESPEREM¡
dissabte, de novembre 08, 2003
Es tracta d’un passeig en bicicleta que es celebra a diferents ciutats del mon un cop al mes per recuperar els carrers del domini dels automòbils.
Un ciclista pot ésser atropellat, cinc poden ésser intimidats, però cinquanta o cent ciclistes ¡reclamen el carrer!
GAUDEIX LA BICI CADA DIA,
CELEBRA-HO UN COP AL MES
Tots els primers divendres de mes a les 20 h a la Plaça dels Països Catalans
!T’ESPEREM¡